“All’inizio del quinto anno di guerra, calpestiamo le rocce italiane. Ad ogni passo il dolore trafigge il nostro cuore.
Quanto caro sangue ungherese è fluito qua, quante care vite ungheresi si sono spente qui !? Quanto trionfo, quanta gloria, quanta sofferenza ed indigenza dietro di noi!  Ma il giudizio di Dio prosegue: il massacro di esseri umani è ancora in corso, il numero di tombe sta crescendo, le rovine si moltiplicano, la massa degli storpi, miserabili, vedove e orfani aumenta. E si moltiplicano anche i nostri nemici. La politica criminale dell ‘Entente’ (la cosiddetta “Triplice Intesa) ci ha inimicato tutte le nazioni del mondo, anche quelle che prima erano nostre amiche. Eppure combattiamo, con la forza dell’acciaio nel cuore e nel braccio. Ma nella nostra anima arde il desiderio di pace.” (…)1

Le frase sopra riportata è apparsa sulla copertina di  “10-es honvéd” – giornale del reggimento- nel 15 agosto 1918. L’autore è il comandante del reggimento Géza Sáfrán. All’epoca il reggimento era già di stanza in Trentino per la terza settimana consecutiva. Erano nella Valle del Brenta (conosciuta anche come Valsugana nella sua parte iniziale tra i laghi di Levico e Caldonazzo ed il villaggio di Primolano, e come Canal di Brenta a valle di Primolano), dov’era un centro d’addestramento e nodo logistico dell’esercito imperiale. Il fronte a sud della valle era rifornito di uomini e materiali da qui.  La valle, come un lungo arco, collega la città di Trento a Bassano del Grappa. La Valsugana è una strada importante dai temp antichii, la parte occidentale è larga, adatta per coltivazione ma l’altra parte si stringe ed oggi  c’è spazio solo per una strada e per i binari della ferrovia.

I honvéd di 10° reggimento dopo l’attacco rumeno nel settembre 1916 fino a marzo 1918 combattevano a Transylvania. Dopo la capitolazione rumena, il reggimento come parte della 39° Divisione è stato avviato nel sud dell’Ungheria per assicurare le requisizioni in corso ed alleviare la mancanza generale di cibo e materie prime.

” All’arrivo la requisizione non era ancora stata preparata e venne iniziata solo dopo Pasqua, nei primi giorni di aprile. Le compagnie schierate hanno circondato i paesi. La requisizione è stato compiuta da commissari governativi con il coinvolgimento dei comitati civili;  il comando non ha preso parte alle azioni, ma forniva solo la forza dimostrativa con plotoni. 3-4 soldati accompagnavano un comitato, misuravano le quantità di cereali ed eseguivano la ricerca, dov’era bisogno. È se successivamente c’era bisogno di ricercare i cereali nascosti, nella maggior parte dei posti, l’importo desiderato veniva offerto volontariamente. Ed i nostri uomini non solo furono sensibili ed accolti, ma vennero anche intrattenuti. La requisizione si tramutò infine in una serie di feste .”2

Da Sud il reggimento si spostò poi a Budapest per espletare servizio di polizia-militare. L’esaurimento generale e le perdite umane, impensabili prima della guerra e incommensurabilmente superiori alle aspettative, causarono un’ atmosfera ostile tanto alla guerra quanto al governo.. L’azione repressiva delle truppe per far cessare le rivolte e le dimostrazioni non fu tuttavia molto efficiente, perché gli uomini, per la maggior parte, avevano già combattuto in scontri sanguoinosi sul fronte russo ed erano completamente delusi dalla guerra.  È i reparti sono così sono arrivati su questa posizione come unità provate e logorate, come gli altri reggimenti della 39° divisione Honvéd. Sappiamo dai documenti del 16° Honvéd, che il numero dei disertori e dei renitentii raggiungeva i 200-300 uomini a giorno. L’esausto impero non poteva più supportare l’esercito in maniera sufficientemente accettabile; la sostituzione e la riparazione delle attrezzatura e dei materiali dipendevano allora in gran parte dall’ingegno e “dall’arte di arrangiarsi” dell’ufficiale addetto alla gestione della cassa di reparto.

……………………

Il reggimento è partito nel pomeriggio del luglio 28 da Kőbánya e arrivato alla Valsugana nella stazione di Marter nel 4 agosto. Due giorni dopo, l’arciduca Giuseppe tiene un’ispezione sui nuovi arrivati. La valle, fino a Caldonazzo nei questi tempi si forma una base militare enorme, con baraccamenti, magazzine, campi di addestramento, campi di tende ed ospedali. Anche i rifornimenti, munizioni arrivano qua sui binari. I prossimi giorni passano con pratiche militare a livello reggimentale, imparano sopratutto combattimento contro aerei da attacco basso. Il movimento nella valle non finisce mai, l’uomini del 10° vanno a Strigno nel 16 agosto poi a Grigno nel giorno dopo. Il “commando” fa la notte a Villa, dove “nel disabitato, era una caccia notturna ai ratti invece di dormire” (3)

La catena delle monti come una grande diga, segue il fiume Brenta con un’altitudine media di 1300 metri. Sul ripido fianco della cresta, ci sono solo tre strade che portano agli altipiani, quella più vicina ai Honvéd, la Barricata, non è ancora finita, veicoli non possono passare, solo soldati, muli e cavalli. Il materiale dei truppi va spedire con le funivie, l’uomini fanno la scarpata faticosa sulla strada e sui sentieri antichi dei pastori. Il reggimento 10° sale nella notte del 17 agosto, “festeggiando” così il compleanno del Imperatore poi si fermano sul campo della Barricata – Marcesina dietro della prima linea. Il campo tenda funziona come punto di raggruppamento alle unitá appena saliti, da qua partono alle linee e arrivano i sostituiti, che salgono giù alla Valsugana.

Il regione composta da altipiani Folgaria, Lavarone e Sette Comuni e nominata anche come “pre-Dolomiti”. A nord ci sono le alte montagne di 2-3000 metri d’altezza separate da valle strette e profonde, a sud c’e la pianura. Si parla di altipiani perche le colline, cime e valle dividono “il plateau” a diversi porzioni.

L’Altopiano dei Sette Comuni o “Asiago” – come appariva sui giornali contemporanei- cade ai mani del esercito austro-ungarico dopo il “Strafexpedition”, poi nell’inverno di 1917-1918 conquistano l’acrocoro della Monte Melletta arrivando all’orlo meridionale. Vincenza, Bassano sono solo a “un tiro di sasso”. Nell’estate di 1918 Conrad ordina un offensiva definitiva, inondare la pianura dal gigante bastione naturale, circondando la II. Arma italiana e costringere il Paese in ginocchio. L’attacco e fallito, i reggimenti di Sud-Ungheria e Transylvania soffrono grosse perdite. I reggimenti del Divisione 39° arrivano a difendere le linee irrigiditi. (9° Kassa, 10° Miskolc 11°Munkács 16° Besztercebánya) Circondano le pendine meridionale e sud-est del monte  Melletta, che sorge sopra le rovine della città di Asiago. Il tratto della linea occupata dai nostri, corre dal monte Sisemol fino a Sasso Rosso. La conca del Sasso Rosso e già sulla riva destra del fiume Brenta, quindi l’artigleria italiana raggiunge facilmente dal massiccio della Monte Grappa.

Il reggimento di Miskolc arriva sul Sasso Rosso e sulla San Francesco, un strapiombo roccioso sopra la Val Vecchia. Magg. Kálmán Shvoy, – Capo di Stato Maggiore- da un descrizione sensuale della “scena” nel suo ” Direttivi per la difesa della Cresta-Brenta” nel 1918. 7 settembre: (4)

“I. Il terreno.

Questo altopiano è quasi ovunque accerchiato da ripide pareti rocciose, in alcuni tratti completamente perpendicolari verso la gola della Val Frenzela, la valle del Brenta e e le loro convalli.
Dalle valli di Frenzela e del Brenta le strade conducono all’altopiano attraverso la Val Piana, Val Vecchia, Val Gadena e Val Capra. Ne consegue che queste valli e le strade che in esse conducono devono essere sbarrate, e le creste di S. Francesco, Sasso Rosso e Alessi, interposte tra di esse, devono essere mantenute sicure a protezione dell’intero altopiano. Nonostante il bordo dell’altopiano sia così ripido e in molti punti addirittura un abisso perpendicolare, sarebbe un errore se sopravvalutassimo la protezione naturale del terreno e ci arrendessimo alla sensazione di assoluta sicurezza. Oltre alle vie di trasporto esistenti sopra menzionate, ci sono ancora molti posti dove è possibile arrampicarsi sull’altopiano.- Nemmeno le stesse ripide pareti assicurano una sicurezza assoluta, perché anche su di esse si trovano fessure della roccia (camini) ove è possibile salire. Individuare questi luoghi dall’altopiano stesso, dall’alto, è molto difficile, in molti punti non è proprio possibile determinarli da lì. Tutt’al più si possono stabilire solo sulla base di un’osservazione più lunga, preferibilmente dal versante opposto, cosa che a questo punto sarà probabilmente possibile.-“

Il luogo è quindi costituito da due crinali che si innalzano sopra il burrone della Frenzela, separati da una valle con parete altrettanto ripida, la Val Vecchia. La regione era nelle mani dell’Esercito Italiano fino al novembre 1917, e vi fu costruita una strada nella valle Vecchia per rifornire le sue forze a protezione dell’altopiano. Nell’inverno del ‘17, però, le truppe a. u. occuparono il massiccio delle Melette e i crinali settentrionali in diversi attacchi e a costo di pesanti combattimenti (Tondarecar, Badenecche), ovvero le ulltime alture strategiche degli italiani sull’altopiano di Sette Comuni. La situazione è per loro drammatica, poiché sull’altopiano non esistono più alture così ben difendibili; è quindi obbligatorio mantenere la strada appena completata in Val Vecchia, che conduce alla parte meridionale della Valsugana e alla città di Bassano del Grappa, già sulla pianura. Vediamo in quale situazione si troveranno i nostri honvéd, alla fine dell’estate del ’18. Ricordiamo il colonnello Sándor Szabó, allora commandante il II. Battaglione del 10° reggimento di fanteria Honvéd. Ecco le frasi scritti nel libro commemorativo:
“(…) Il comando della nostra,39ª divisione ordinò che io, col II. battaglione, occupassi il monte più avanzato nella posizione difensiva detta Sasso Rosso, sopra il Brenta, sul cui sperone roccioso chiamato Il Cornone, grazie ai nostri più gentili predecessori, si annidarono gli Alpini in posizione di pericolosa vicinanza. (…) A destra e a sinistra della 39° Divisione
Honvéd, all’orizonte e dove i cannoni ruggivano di più, erano tutti ungheresi, soprattutto Honvéd. I nostri vicini immediati a destra sono 3 reggimenti comuni composti da ungheresi e un reggimento bosniaco, poi proseguendo a destra, sul famoso Monte Sisemol ed intorno alla 38ª, stanno la 64ª e la 74ª Divisione Honvéd; alla nostra sinistra attraverso la valle del
Brenta e sulle montagne al di là c’è la 40ª Divisione Honvéd.”4
Non si pensa ad un attacco, perché dopo gli scontri di giugno da parte austro-ungarica non ci sono né la volontà né i mezzi. Mantenere la linea occupata è il compito principale. Le condizioni del terreno non consentono un attacco frontale in massa, ma le unità italiane bloccate nella Val Frenzela, barricandola completamente a una profondità di 3 chilometri,

sono costantemente alla ricerca di opportunità per prendere piede sull’orlo dell’altopiano. Dal Natale 1917 sui “Tre Monti”, Col Rosso, Echele, Val Bella, che si trovano a ovest di dove stanno i ragazzi di Miskolc, si svolge una lotta aspra. Se le forze italiane riescono a raggiungere l’altopiano dalla gola della Frenzela attraverso il Cornone, possono accerchiare la zona, aiutando le forze che combattono lì. Pertanto, i plotoni italiani cercano di risalire dalle profondità del baratro, in tutte le possibili fessure e tagli nella roccia, e costruiscono posizioni. Nel febbraio del 1918 occuparono così lo sperone roccioso del Cornone, menzionato da Magg. Sándor Szabó.
Il Cornone, veramente ha la forma di un corno, sporge dal massiccio del Sasso Rosso sul canyon. Sotto di esso, negli strati orizzontali della parete rocciosa, gli italiani avevano costruito una posizione bene organizzata; dal lato di San Francesco essa era protetta con pareti di roccia e sacchetti di sabbia, e nelle profonde caverne funzionavano un ospedale e persino una cucina, e nella roccia hanno scavato canali, verso l’alto. Risalendo questi canali essi potevano raggiungere posizioni poste più in alto, di pochi metri quadrati, rimanendo ancora più protetti dal nemico. Non c’erano ancora trincee e caverne costruite sui pendii menzionati. La zona era un luogo ben battuta da entrambe le artiglierie, tuttavia fu ordinata la costruzione di difese. Questo lavoro era possibile solo di notte o in caso di nebbia. Ma la difesa era organizzata diversamente. Citiamo ancora Magg. Szabó:
“Era un segno della mia sconfinata fiducia nei miei honvéd il ​​fatto che occupassimo solo due strette strisce contigue della linea. Oltre a ciò, ho posizionato solo feldwachen deboli, a 300 metri di distanza l’una dall’altra. Ecco come abbiamo riempito lo spazio. Una notte cambiai perfino la posizione di uno dei plotoni scoperti dal nemico ed ordinai che tutti, eccetto le sentinelle, si nascondessero nelle caverne e negli altri buchi dal fuoco dell’artiglieria nemica, e saltassero subito avanti solo per contrattaccare. In tutto contavo sulla resistenza eseguita in totale autonomia e sul contrattacchi da effettuare con una delle mie compagnie di fucili e mitragliatrici. E ha funzionato davvero.” (5)
Questa è dunque la situazione, il 10° reggimento Honvéd occupa il limite orientale delle linee irrigiditesi dopo l’offensiva estiva del 1918, nel raggio di tiro dei cannoni italiani ed inglesi installati sul Grappa e Col d’Astigo, su due rocce sopra valli brulicanti di nemici.
L’influenza spagnola imperversa. Gli italiani sono già sul Cornone, letteralmente sotto i piedi dei nostri fanti, e stanno sfruttando ogni occasione per turbare i difensori ed esplorare i tratti difensivi più deboli. L’autunno è arrivato e nelle notti nebbiose e nelle prime ore del mattino sempre più frequentemente ci sono sempre più opportunità per farlo. Sui Tre Monti infuriano costantemente combattimenti sanguinosi, è solo questione di tempo prima che ciò influenzi la linea del 10°Honved. Ogni giorno vengono sparsi volantini, soprattutto in slavo, ma anche in ungherese, che invitano i soldati dell’imperatore a rinunciare, e anche da casa non arrivano buone notizie. Quando almeno arrivano…


Ma anche la situazione degli italiani non era molto migliore.


(fine della prima parte)